sabato - 27 Luglio - 2024

Fisico di Harvard afferma di aver trovato possibili frammenti di un’astronave aliena nel Pacifico

Il professor Abraham “Avi” Loeb, eminente fisico teorico della rinomata Università di Harvard, ha recentemente fatto una dichiarazione spettacolare: ha scoperto possibili frammenti di una nave spaziale aliena nel profondo dell’Oceano Pacifico. Nonostante il potenziale rischio di sembrare una bufala estiva, questo rispettato scienziato, che ha servito come il più longevo direttore del Dipartimento di Astronomia a Harvard, ha ribadito questa affermazione in diverse interviste, esprimendo una significativa sicurezza riguardo la natura artificiale e inusuale del materiale recuperato.

La sua squadra, in particolare, ha raccolto circa cinquanta sferule metalliche, ciascuna del diametro di circa mezzo millimetro. La loro composizione è straordinaria e “anomala rispetto alle leghe prodotte dall’uomo, agli asteroidi noti e alle fonti astrofisiche familiari”, ha riferito Loeb al Daily Mail.

Il ritrovamento di questi frammenti è strettamente collegato all’evento di Oumuamua, il famoso “sigaro interstellare” individuato nel Sistema solare nel 2017. Questo oggetto, probabilmente un asteroide anomalo, ha destato l’interesse degli astronomi per la sua traiettoria orbitale insolita e la forma piatta e allungata. Dai calcoli, è emerso che non apparteneva al nostro Sistema Solare, ma proveniva dallo spazio profondo. Le sue peculiarità hanno alimentato l’ipotesi che potesse essere un’astronave aliena in viaggio, ma analisi successive hanno quasi confermato l’origine naturale e non artificiale di Oumuamua. Tuttavia, Loeb e altri ricercatori non si sono mai convinti completamente e hanno deciso di indagare su altri possibili visitatori interstellari.

Utilizzando il database del Center for Near Earth Object Studies (CNEOS) della NASA, Loeb ha individuato dati di particolare interesse per la sua “caccia”: quelli di CNEOS 20140108, una meteora rilevata dai sensori del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nel 2014. Questo oggetto spaziale apparve nel cielo come una palla di fuoco e scomparve nell’Oceano Pacifico. I calcoli sulla traiettoria hanno indicato che l’oggetto proveniva dallo spazio profondo e non dal nostro sistema. Di conseguenza, gli astronomi l’hanno classificato come IM1, acronimo che indica meteora interstellare numero 1. Dopo un’attenta analisi dell’orbita dell’oggetto, il professor Loeb ha deciso di organizzare una spedizione nell’Oceano Pacifico, vicino alla Nuova Guinea, con una nave da ricerca. L’obiettivo era sondare il fondale marino nella potenziale area di impatto con un potente magnete, sperando di recuperare frammenti metallici dell’oggetto caduto quasi un decennio fa.

La missione, costata 1,5 milioni di dollari e parte del Progetto Galileo, si è conclusa recentemente. Ha permesso di recuperare le sopracitate sferule metalliche, che sono state analizzate in laboratorio presso l’Università di Berkeley. Dagli esami è emerso che sono composte principalmente da ferro, con tracce di altri metalli, come il nichel. Come affermato da Loeb, questa è una combinazione anomala, non riscontrata né nei meteoriti né negli altri piccoli corpi celesti del Sistema solare che precipitano sulla Terra, né negli oggetti prodotti comunemente dall’essere umano.

La meteora IM1 ha resistito a una pressione quattro volte superiore a quella che avrebbe distrutto un tipico asteroide roccioso – metallico, secondo i calcoli della traiettoria e della velocità. È possibile che le sferule siano frammenti di quest’oggetto, separatisi durante l’ablazione nell’atmosfera terrestre e l’impatto con l’acqua marina.

Alla luce delle caratteristiche uniche delle sferule, il professor Loeb e il suo collega Amir Siraj non escludono la possibilità che potrebbero essere frammenti di una navicella spaziale aliena. “È davvero importante continuare a spingere i confini in termini di destigmatizzazione della ricerca di vita extraterrestre. Se non consideri una possibilità, di solito non scoprirai qualcosa di nuovo”, ha dichiarato al Daily Mail il dottor Amir Siraj. Naturalmente, non mancano i critici di questa teoria, come la scienziata Monica Grady, docente di Scienze Spaziali e Planetarie presso The Open University. In un articolo su The Conversation, ha spiegato che molto probabilmente queste sferule non sono altro che inquinamento prodotto dall’uomo. Alcuni frammenti simili, infatti, furono raccolti dall’oceano già 150 anni fa e furono chiamati “sferule cosmiche”. Per determinare l’origine interstellare, bisognerebbe valutare la loro età. Tuttavia, anche se fossero più antiche del Sistema solare, e quindi interstellari, non avremmo comunque la conferma dell’origine aliena.

Loeb e i suoi colleghi condurranno ulteriori indagini, come l’analisi della composizione isotopica e la datazione radioattiva, per tentare di rispondere a queste domande. È certo, tuttavia, che il team continuerà a cercare altri oggetti anomali. Il prossimo target è IM2, la terza meteora più potente registrata nel catalogo CNEOS.

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